[Il Mulino, Bologna 2007]
Nella fin troppo nutrita bibliografia su Calvino non mancano di certo i tentativi di canonizzare lo scrittore ligure. A questa tentazione si sottrae Mario Barenghi con la sua recente raccolta di saggi calviniani, che per sua ammissione non mira a edificare un nuovo monumento all’autore a cui egli si dedica ormai da tempo: «anzi – si legge nella premessa al volume –, debbo confessare un certo disagio sia di fronte a un’immagine troppo monumentale di Calvino (che non avrebbe gradito di stare in cima a un piedistallo), sia di fronte a letture parziali e riduttive, di qualunque segno siano» (p. 7). In questa prospettiva sicuramente sta il principale merito della silloge, nella quale sono confluiti undici articoli già apparsi in volumi e riviste, rimaneggiati per l’occasione, ai quali si sono aggiunti due saggi inediti.
Altro merito che va subito riconosciuto a Barenghi è di aver cercato di ripensare e conferire una forma coerente alla propria interpretazione dell’opera dello scrittore ligure, precisando le tendenze che hanno guidato la sua lettura nel corso degli anni. Da ciò deriva il titolo scelto per la raccolta, che «vorrebbe appunto compendiare il senso di una lettura condotta su un doppio binario: l’individuazione di una matrice (di uno schema archetipo, d’un baricentro), e la ricognizione di uno sfrangiato, frastagliato perimetro» (p. 12). Si chiarisce così la duplice anima degli interventi già pubblicati in passato: essi, infatti, riservano pari attenzione al nucleo centrale della produzione calviniana, alle linee portanti che pur con toni e forme differenti accomunano le sue opere maggiori, e al contempo alle “zone di frontiera”: la saggistica, l’autobiografia, i progetti editoriali.
Anche i due saggi inediti seguono ed esplicitano questo doppio binario. Un po’ di storia (e geografia) apre la silloge ed individua dei punti fermi all’interno dell’opera di Calvino a partire da qualcosa di assai concreto come i luoghi ai quali l’autore fu legato. Prima di tutto le città che hanno segnato la sua vita (San Remo, Roma, Parigi) e di riflesso, dissimulate dietro la finzione letteraria, le sue pagine. Altre città dalla forte carica simbolica (Santiago del Cile, Venezia e New York) fanno parte ugualmente della geografia calviniana, che si nutre del loro valore archetipico per dar vita a numerosi luoghi immaginari. Il desiderio di rintracciare dei punti di riferimento nell’opera calviniana naturalmente rende necessario individuare delle date nodali, che – secondo il critico – sono quattro (1945, ’57-’58, ’68- ’69, ’79-’80).
Dopo aver rintracciato delle coordinate spazio-temporali Barenghi passa a quelli che definisce «interlocutori e destinatari» e ricostruisce così un complesso insieme di autori con i quali in positivo o in negativo Calvino si trovò costantemente a fare i conti. Forse proprio grazie alla definizione della geografia, della cronologia e dei modelli calviniani Barenghi arriva a tratteggiare in poche righe un ritratto veramente esaustivo dell’autore ligure: «uno scrittore che si è posto il compito di dar voce al “mondo non scritto”, affabulatore e scrutatore, favolista e sensista, devoto in egual misura al microscopio e al telescopio, autobiografo reticente, facondo cartografo» (p. 29). Ad un’esperienza marginale, ma ugualmente importante, è dedicato l’altro saggio inedito inserito quasi a conclusione della silloge: Calvino e i sacrifici umani.
Nel progetto interrotto La decapitazione dei capi Barenghi riconosce alcuni tratti peculiari della penna di Calvino che proprio nelle opere non portate a termine raggiunge una compiutezza inattesa. Nelle due direttrici che così felicemente guidano l’andamento della raccolta si manifesta, del resto, una comprensione profonda, scevra da mitizzazioni sterili, delle pagine di Calvino, che sempre oscillano tra un andamento centripeto e all’opposto un’aspirazione al multiforme e al marginale.
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